Linguaggio, psicoanalisi e balbuzie

Un articolo del dott. Antonio Bitetti, psicologo e psicoterapeuta, pubblicato per gli psicologi della Regione Puglia su aspetti importanti della balbuzie. Le relazioni interconnesse tra il linguaggio umano e aspetti psicoanalitici di esso, con riferimenti alla personalità del balbuziente e al sintomo della balbuzie in particolare. ( A. Bitetti, PsicoPuglia, Notiziario dell’Ordine degli Psicologi della Puglia, Dicembre 2017, Vol. 20).

La Balbuzie

Le nostre ricerche, una novità assoluta in Italia e in Europa

IL LINGUAGGIO UMANO

Il linguaggio si può definire come un sistema arbitrario di simboli che, presi insieme, consentono a un essere umano con limitati poteri di discriminazione e limitata memoria, di trasmettere e comprendere una varietà infinita di messaggi e di poter fare ciò, malgrado i rumori e le distrazioni (Brown R., New York,1965). L’uso del linguaggio simbolico è prerogativa esclusiva della specie umana: è la realizzazione più caratteristica e forse più complessa, dell’uomo.

Ogni società umana, per quanto primitiva ed isolata, ha un linguaggio, mentre nessuna società animale è mai riuscita a svilupparne uno. É degno di nota il fatto che in tutte le culture, i bambini senza difficoltà evidenti, siano padroni del linguaggio e riescano a parlare ragionevolmente bene entro i 4 anni di età (Mussen P., Conger J., Kagan J.,1974).

In ogni linguaggio si riconoscono due aspetti principali: struttura (le unità fondamentali, parole e suoni e le regole della loro combinazione) e significato (segni convenzionali e arbitrari usati come referenti per oggetti ed eventi). Gli aspetti strutturali consistono essenzialmente nel sistema fonetico o dei suoni (fonologia), in regole per la formazione delle parole a partire dai suoni (morfologia) e in regole per la combinazione delle parole (grammatica o sintassi). Questi aspetti costituiscono il sistema linguistico, studiato dai linguisti, a cui si contrappongono le funzioni sociali e di comunicazione del linguaggio.

Secondo Chomsky, autorevole psicolinguista del M.I.T. di Boston (USA), ogni proposizione, per quanto semplice, ha una struttura di superficie e una struttura profonda. La struttura di superficie riguarda ciò che effettivamente percepiamo. Cioè la catena di parole che costituiscono la frase parlata, il suo “ suono”. La struttura profonda riguarda le relazioni logiche fondamentali, espresse nella proposizione (Chomsky, N.1959,1967).

Poiché il linguaggio è generalmente considerato la caratteristica più distintiva del comportamento umano e occupando una posizione di primissimo piano nelle interazioni sociali e nel funzionamento cognitivo, gli psicologi si sono posti il problema dell’origine e del funzionamento di esso.

Le materie prime del linguaggio parlato sono i suoni elementari o fonemi, cioè i suoni vocalici e consonantici fondamentali che corrispondono grosso modo alle lettere dell’alfabeto. Durante i primi mesi di vita i bambini vocalizzano un numero limitato di suoni. Durante il cosiddetto periodo del balbettìo, che comincia verso i 6 mesi d’età, a questi suoni si aggiungono molti altri che compaiono in combinazioni complesse. (Chomsky C., Cambridge, M.I.T. Press,1969).

Indipendentemente dalla lingua di appartenenza del bambino, i suoi primi suoni dotati di significato sono consonanti, prodotte con la lingua nella parte anteriore della bocca, come p,m,b,t e vocali posteriori, prodotte con la lingua nella parte posteriore della bocca, come la e, o, a. I bambini cominciano a combinare insieme le parole all’età di 18-24 mesi, partendo da frasi semplici. Eppure all’età di 48-60 mesi, la maggior parte dei bambini hanno ormai appreso quasi completamente la sintassi (regole di grammatica) della propria lingua.

La neuropsicologa Francoise Lhermitte (1976) ha precisato: “ Esistono nel cervello dei sistemi anatomo-funzionali innati che, sotto la pressione dell’ambiente linguistico, renderanno possibile l’acquisizione del linguaggio; ma esistono anche sistemi di portata più generale che, sotto la pressione dell’ambiente, rendono possibile lo sviluppo delle attività cognitive.

L’acquisizione della parola, secondo la psicoanalista francese Annie Anzieu(1980), dipende dall’acquisizione della capacità di camminare e cioè, dalla possibilità per il bambino di introdurre attivamente la separazione spaziale reale dalla madre, mentre fino a quel momento il bambino subiva passivamente e dolorosamente la separazione di cui solo la madre prendeva l’iniziativa. Per parlare, cioè per comunicare a distanza, il bambino deve aver attraversato l’angoscia di separazione e aver stabilito con la madre, o chi per lei, la distanza tra il contatto funzionale in cui si perde e l’allontanamento estremo in cui la perde.

La comunicazione significante esiste solo in virtù del peso della carne che veicola, in base alle zone erogene o dolorose del corpo da cui proviene, o a cui tende, in base ai vissuti corporei e poi psichici, che evoca. La parola può essere acquisita solo se il bambino, stabilendo la differenza tra realtà esterna e realtà interna, può porle in rapporto analogico (quello che D. Winnicott, chiama “l’area transizionale”, 1974).

L’accesso al linguaggio permette al bambino di pensare senza essere costretto ad agire simultaneamente il proprio pensiero, come avviene nel periodo senso-motorio, (dalla nascita a circa 1 anno e mezzo) e ampiamente descritto da J.Piaget. Il decentramento così possibile porta il bambino a passare da un sistema di pensiero egocentrico, caratterizzato da causalità magica e intuitiva, in cui non si fa uso del concetto di reversibilità, a un sistema di pensiero che si serve di ragionamenti logici reversibili.

Egli ha bisogno dei 5-7 anni che separano la fine del periodo senso-motorio dal periodo delle operazioni logiche concrete, per imparare a padroneggiare il linguaggio parlato, nel suo vocabolario e nella sua sintassi e a utilizzarlo, non solo per evocare situazioni ma, anche e soprattutto, per comunicare con soggetti esterni e al tempo stesso simili a lui.

Per J. Lacan, il bambino non può diventare soggetto fino a che non impara a dire “ Io”, ma mentre impara a dire “Io” egli inizia sempre a pensare in termini di “ Lui” o “ Lei”. Il bambino per tutto il tempo in cui vive in rapporto duale con la madre è intrappolato all’interno di un corto-circuito. Attraverso la crisi edipica, in cui ogni angolo del triangolo familiare viene a mediare il rapporto duale tra gli altri due, il bambino giunge alla relazione triangolare, simbolica, dove l’opposizione è mediata dalla differenza. Lacan J. (1974) basa questo punto di vista e la sua pratica analitica su due riferimenti: lo strutturalismo di Levi-Strauss e la linguistica di de Saussure.

Così, non ci sorprenderemo del fatto che parlare male rimanda a disturbi riguardanti la possibilità di azione del corpo. Sia ad angosce di abbandono, sia ad angosce di castrazione secondaria edipica e spesso, ai tre disturbi simultaneamente. Non saremo nemmeno sorpresi dal fatto che solo eccezionalmente il disturbo che interessa il parlare si presenta come un sintomo isolato da qualsiasi particolarità.

ASPETTI PSICODINAMICI DEL LINGUAGGIO E DELLA BALBUZIE

L’Es è la rappresentazione psichica del fondamento somatico delle pulsioni e dei desideri. É incluso nell’Io a parità di diritto del Super-Io. Al momento dello sviluppo, quando afferma la sua personalità, il bambino, come si è detto, si impadronisce delle capacità di controllo somatiche e psichiche. Diventa un soggetto parlante, in grado di opporre un rifiuto mediante la parola a chi contrasti il suo desiderio. Il rischio lo si immagina già: perdere l’amore delle persone amate, o per lo meno, attirare la loro aggressività. Il dialogo interno tra le parti dell’Io desiderante e quella che tende ad evitare i rimproveri, provoca certamente delle oscillazioni nell’acquisizione del vocabolario, della sintassi e della emissione verbale.

I disturbi dell’acquisizione del linguaggio nel bambino, come ad esempio la balbuzie, sono molto spesso in stretto rapporto con la problematica affettiva. Alcuni bambini accedono solo difficilmente alla parola, mantenendo così una situazione apparentemente non conflittuale con l’ambiente che li tiene allo stato di lattante. Il senso di colpa relativo al parlare è sotteso da un Super-Io molto precoce e dai conflitti interni che ostacolano lo sviluppo della pulsione epistemofilica.

Fa parte del processo evolutivo, il fatto che il bambino presenti durante il definitivo stabilirsi del suo linguaggio, delle esitazioni toniche tipiche della balbuzie. Nella maggior parte dei casi di balbuzie primaria, queste difficoltà possono risolversi senza lasciare ulteriore traccia. Ma in altri casi, in rapporto a circostanze ambientali e ai conflitti interni, il bambino tende a conservare la sintomatologia del balbettare. É evidente in questi casi, che la lotta tra pulsioni a sfondo aggressivo e un Super-Io già molto forte, si manifesti attraverso questo disturbo (Bitetti A.,2001,2006,2010,2016).

Parlare è conformarsi a norme riconosciute da un gruppo, utilizzare le parole, le situazioni e la melodia di una lingua comune a questo gruppo, esprimere un discorso che sia percepibile da altri ad un livello acustico, intellettuale, affettivo. Parlare è quindi scegliersi al tempo stesso come simile e come diverso dall’altro, è comunicargli il proprio desiderio di venire riconosciuto come tale e anche intenzione di partecipazione reciproca a questo desiderio: è riconoscersi come soggetto desiderante.

IL BAMBINO E LA BALBUZIA

Il bambino che evolve da una balbuzia primaria, ad una balbuzia secondaria o permanente, presenta di solito uno stile di personalità più oppositiva rispetto alla maggior parte degli altri è più collerico, più suscettibile. La sua sofferenza, che esprime con questa aggressività disperata, è probabilmente quella di aver dovuto rinunciare alla sua onnipotenza sul genitore prediletto. Rifiuta questa rinuncia. Il sintomo balbuzie sceglie come luogo quello dei primi piaceri: la bocca.

Le difficoltà di respirazione, dell’impiego sinergico degli sfinteri orali e delle contrazioni disordinate di tutti i muscoli del corpo, tipiche della balbuzie, ricordano l’angoscia spasmodica del lattante che grida. Se si considera che la balbuzie compare generalmente nel momento in cui il linguaggio si realizza in discorso grammaticalmente strutturato, cioè tra i 2-3 anni, è chiaro che si tratta di un sintomo certamente precoce, ma che utilizza il modo simbolico più elaborato della maturazione del bambino.

Il balbuziente non può parlare. La sua espressione verbale è solo singhiozzo, esitazione, cambiamento, impotenza, insoddisfazione. Sembra “ far desiderare” la sua parola, promettendola a briciole e giunge solo all’insoddisfazione del suo interlocutore. Si potrebbe definire il balbuziente un impotente orale, poiché svuota il suo linguaggio di quella energia a matrice aggressiva, necessaria per dare potenza al suo linguaggio. Possiamo vedere in questo uso del contenuto verbale un gioco di seduzione, che prende forma di una esitazione a rivelarsi; una sorta di provocazione verso l’interlocutore, mediante l’attesa e l’incertezza.

Fenichel O., in “La Teoria delle Nevrosi”1953, ha avuto il gran merito di introdurre la balbuzie tra le conversioni pre-genitali. La balbuzie, di per sé, costituisce una nevrosi. La difficoltà sta nel distinguere in che misura questa nevrosi coinvolga, sia l’isteria di conversione e sia la nevrosi ossessiva, poiché “ gli impulsi inconsci espressi in questi sintomi sono pregenitali”.

In effetti, nell’analisi dei contenuti del discorso del balbuziente si trovano allusioni dirette ad un erotismo pregenitale. In particolare, dei ricordi della prima infanzia sentiti come molto colpevolizzanti, vertono sulla defecazione, sui disturbi intestinali e digestivi. La stitichezza e la diarrea nel bambino balbuziente assumono l’aspetto di manifestazioni somatiche banali dei “disordini” interni.

TERAPIA PSICOANALITICA DELLA BALBUZIE

Le psicoterapie analitiche dei balbuzienti sono ricche di resoconti di questo tipo. Sembrano confermare l’attaccamento che il balbuziente ha per il proprio contenuto intestinale, che rappresenta la sua situazione. Un adolescente balbuziente, durante il percorso terapeutico parlava con estrema difficoltà quando pensava ai genitori. In quei momenti, il blocco tonico della parola era molto intenso e si rilassava solo per dire con estrema fluidità: “ Questo non vuole uscire”, “ questo” diventava ben presto “ io”: “ io non voglio parlare”, ma anche “ io non posso”. Il tutto, riferito ovviamente alla dinamica di espulsione, o di trattenere la massa fecale.

Il contenuto del corpo è la cosa preziosa che in genere non si vuole dividere con gli altri, se non liberamente. Soprattutto, se l’interesse che l’altro ha per questo oggetto è grande. Il pericolo che minaccia questo oggetto è l’insoddisfazione materna sentita nella realtà e nell’immaginazione, come una fonte perpetua di delusione e di castrazione. Le pulsioni orali ed anali, violentemente rimosse, si caricheranno di angoscia e questa angoscia si manifesterà a livello orale, secondo una modalità anale: il discorso non può essere “ gettato fuori”, “ il parlare” è impossibile. (Anzieu A., pag.148-149,1980).

Il balbuziente gioca il ruolo dello sfortunato che non può dire ciò che proprio vorrebbe avere il diritto di dire. Ma è rassicurato dalla propria balbuzie. É in effetti curioso constatare come molti balbuzienti tengano al proprio sintomo. Molti vengono inviati in terapia da una terza persona, professore, un datore di lavoro, a causa del danno professionale, o relazionale che la balbuzie comporta. Dall’approccio un po’ più approfondito delle strutture psicologiche che lo riguardano, si avverte come il balbuziente tenga a nascondere questa debolezza.

Quale scopo raggiunge in effetti la balbuzie, nel quale ci sembra di vedere una vera e propria intenzione inconscia? Secondo Fenichel O., impedirebbe la manifestazione diretta dell’aggressività mediante parole oscene a “ valore magico”. Con questo, egli conferma la posizione in cui si colloca il balbuziente e cioè, la posizione sadico-anale.

In effetti, la balbuzie, almeno la fase iniziale, compare nei bambini tra i due e i quattro anni. Ma, il bambino si trova anche all’inizio del periodo cosiddetto edipico. Così le pulsioni pregenitali accompagneranno il completamento dell’acquisizione verbale e l’accesso ad un sistema linguistico paragonabile a quello dell’adulto per forma sintattica e quantità del vocabolario. Chi diventerà balbuziente è costretto a rimuovere le sue pulsioni in un periodo molto precoce, perché le componenti sadico-anali ed orali del suo carattere rimangono molto marcate.

I tratti ossessivi che si riscontrano nella personalità del balbuziente, sono confermate dalla tendenza al controllo delle pulsioni, prevalentemente a matrice aggressiva, che il balbuziente agisce regolarmente nel momento della relazione, mediante il controllo di tutta l’attività fonatoria. L’apparato fonatorio, sede articolatoria del linguaggio, diventa il bersaglio elettivo della dinamica in questione. Il balbuziente rinuncia a esternare la sua rabbia interiore, non se lo può permettere.

L’esperienza ultraventennale nel campo della terapia della balbuzie e di ricerca sulle dinamiche interne al problema, confermano la tesi che il fattore controllo è l’elemento più destruente di tutta la problematica del balbettare. A volte il balbuziente tende ad estendere il controllo anche sulle emozioni di tipo positive e spesso è presente una forte tendenza a controllare il giudizio dell’interlocutore, in termini preventivi, riguardo al giudizio negativo (Bitetti A.,2016, pag.119).

Ogni tentativo terapeutico di un carattere nevrotico richiede, nella persona interessata, un movimento che banalmente viene chiamato la sua “ domanda”. Nel caso dei balbuzienti, si può constatare statisticamente che la maggior parte delle richieste di terapia non sono seguite dal trattamento. Per il semplice motivo che il richiedente non ha dato seguito alla proposta che gli è stata fatta alla sua domanda: è fuggito. Impegnare il balbuziente in una terapia, soprattutto a valenza psicologica, è una delle maggiori difficoltà che si incontrano con personalità di questo tipo. É un tratto caratteristico della sua psicologia.

Il balbuziente non può impegnarsi in un rapporto, proprio perché vive ogni rapporto secondo la modalità persecutoria. Ad un livello superficiale chiede di essere aiutato ad esprimersi meglio. La sua richiesta di aiuto viene accettata ma, ciò lo porterebbe a doversi impegnare, ed oscuramente e inconsciamente, riconosce che questo impegno sarà quello del cambiamento. In altre parole, dovrà rinunciare a certe posizioni interiori, vantaggi secondari difensivi e regressivi. Ciò che lo fa fuggire di fronte all’impegno richiesto dalla terapia psicologica, è la base persecutorio del suo sintomo.

Ecco spiegata, la continua ricerca da parte del balbuziente o delle famiglie dei balbuzienti, di tecniche risolutive riguardo al problema. Di un metodo di cura della balbuzie, che permetta di escludere l’impegno psicologico più profondo. Importante che sia di gruppo, con altre persone affette dallo stesso problema, per mitigare il senso di colpa connesso al sintomo. Un impegno però, superficiale e quindi non risolutivo, pur di allontanare quelle dinamiche interne che, invece, avrebbero un impatto più completo sul sintomo del balbettare e su tutta la dinamica affettiva e relazionale, principalmente nel bambino balbuziente (Bitetti A.,2010).

BIBLIOGRAFIA

Anzieu A., in Psicoanalisi e linguaggio, Didier Anzieu, Bernard Gibello, Roland Gori, Annie Anzieu, Michel Mathieu, Borla,1980

Bitetti A., Analisi e prospettive della balbuzie, Positive Press, Verona, 2001

Bitetti A., La balbuzie. Un problema relazionale, Armando Editore, Roma, 2006

Bitetti A., La Balbuzie Approccio Integrato, IEB Editore, Milano, 2010

Bitetti A., Emozioni, Comportamento e Controllo, IEB Editore, Milano, 2016

Brown R., Social psychology, New York, Free Press of Glencoe,1965

Chomsky C., The acquisition of sintax in children from 5 to10, Cambridge, MIT Press,1969

Chomsky N., A review of verbal behavior by B.F. Skinner. Language

Chomsky N., The formal nature of language. In E. Lenneberg, Biological foundations of language, New York, Wiley,1967, pag.(397-442)

Fenichel O., Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, Astrolabio, Roma,1953

Lacan J., Lo stadio delle specchio, in Scritti, Einaudi, Torino,1974

Lacan J., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1974

Mussen P.,Conger J., Kagan J., Child Development and personality, Harper & Row Publisher,1974.

Winnicott D., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974

Winnicott D., Oggetti transizionali e fenomeni transizionali, in Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974

Prova l’innovativo Approccio Integrato

Per una consulenza o per iniziare un percorso terapeutico, inserisci i tuoi dati e verrai ricontattato.

4 + 4 = ?